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Moti del '20-'21
All'alba del suo "risorgimento" l'Italia era un paese popoloso ma arretrato, prevalentemente agricolo o al più manifatturiero, mai stato unito dai tempi dell'impero né indipendente (almeno) dal Cinquecento. Neppure i moti del '20-'21 (Pepe nel Regno delle due Sicilie, Santarosa in Piemonte, PELLICO nel Lombardo-Veneto) avevano posto la questione nazionale, che però era da sempre viva nei pensiero degli intellettuali e s'era fatta strada nella società col diffondersi degli ideali illuministi. -
Moti del '31
Diverso fu il caso dei moti che nel '31 infiammarono i ducati di Modena e Parma e parte dello Stato Pontificio (MENOTTI). Qui il progetto unitario si aggiunse alle rivendicazioni di ordine costituzionale. Nonostante un maggior coinvolgimento dei ceti borghesi, aristocratici liberali e popolari i moti fallirono a causa delle divisioni interne fra democratici e moderati, del mancato sostegno francese, del doppio gioco di Francesco IV e della durezza repressiva austriaca ed ecclesiale. -
Giovine Italia
In risposta a tale fallimento, dall'esilio francese MAZZINI creò la Giovine Italia, associazione rigorosamente non segreta che, in un'unità di pensiero e azione, educasse il popolo all'insurrezione e realizzasse un'Italia unita, indipendente e repubblicana. L'ideale democratico era sostenuto da uno slancio mistico: contro l'individualismo liberale o la conflittualità socialista, si affermava la fede in un Dio inteso come spirito della storia, progresso di nazioni autodeterminate e sorelle. -
Moti del '33-'34
Infiammato da tali ideali Mazzini progettò nuove insurrezioni nel regno di Sardegna, in Toscana e nel Lombardo-Veneto. Il loro fallimento (GARIBALDI dovette riparare in Sud America) decretò la fine della Giovine Italia che Mazzini rifondò col nome di Giovine Europa. Nel '43 le insurrezioni ripresero nelle Legazioni pontificie e in Calabria (sbarco dei fratelli Bandiera). Pur non imputabili al Mazzini, il loro fallimento riaccese le critiche nei riguardi del suo progetto rivoluzionario. -
Timidi segnali di risveglio
Nel 1836 fu inaugurata la prima linea ferroviaria italiana, la Napoli-Portici. L'arretrata l'Italia esibiva timidi segnali di risveglio, specie nel Nel Regno di Sardegna ed in Toscana. CARLO ALBERTO (pur assolutista, clericale e legittimista) emanò codici, istituì un Consiglio di Stato, investì in comunicazioni ed istruzione. Leopoldo II dal 1839 riunì in congresso gli scienziati italiani a discutere temi tecnici ma "caldi": riforma del sistema bancario, infrastrutture, unione doganale... -
Il pensiero moderato
Si allargò anche il pensiero politico e si affermarono tendenze moderate liberali e riformiste. I neoguelfi (Balbo, Gioberti) pensavano ad un'Italia federale sotto l'egida politica della Chiesa e militare della dinastia sabauda che procedesse per riforme e guadagnasse diplomaticamente l'indipendenza dagli Asburgo. Diversamente CATTANEO credeva anch'egli in riforme e diplomazia ma rigettava clericalismo e monarchia: sognava una confederazione di Stati italiani preludio agli Stati Uniti d'Europa. -
Pio IX
Quando assurse al soglio pontificio PIO IX non aveva simpatie rivoluzionarie o liberali. Ciononostante alcuni suoi atti (aministia politica, apertura ai laici della Consulta di Stato, concessione di maggiore libertà di stampa) gli attirarono le simpatie dei moderati italiani e le antipatie di Metternich, che inviò presidi militari nelle Legazioni pontifice. Ciò rinsaldò il fronte con la Dinastia Sabaudia che concesse anch'essa riforme ed avviò progetti per un'unione militare e doganale. -
Miracolo costituzionale
Nel Regno delle Due Sicilie, unico territorio italiano rimasto estraneo al clima di riforme, infiammò una rivolta separatista. FERDINANDO II reagì, sorprendentemente, dichiarando l'indipendenza della Sicilia e concedendo addirittura una Costituzione. Lo seguirono a ruota Leopoldo II (17/02), Carlo Alberto (04/03: Statuto Albertino) e persino Pio IX. -
Prima guerra di indipendenza
Alla notizia che Vienna era insorta, moti antiasburgici dilagarono a Venezia, Milano (le Cinque giornate), Parma. Modena...Molti (ma non Cattaneo!) chiedevano il sostegno sabaudo. Quando gli austriaci lasciarono Milano, Carlo Alberto intervenne, desideroso di annettere la Lombardia ma soprattutto di sedare pericolose rivendicazioni democratiche e repubblicane. Gli si affiancarono Pio IX, LEOPOLDO II e Ferdinando II. L'insurrezione popolare assunse così forma di guerra di indipendenza federale. -
Guerra federale e regia
L'Austria del generale RADETSKY, pur sconfitta a Goito e Pastrengo, si asserragliò nel "quadrilatero" (Mantova, Peschiera, Verona, Legnano). Minacciò il papa di scisma e questi pronunciò un'allucuzione in cui lasciava la guerra in nome della sua missione universalistica. Era la fine del sogno neoguelfo ed il passaggio dalla guerra federale a regia: si ritirarono infatti anche Leopoldo II e Ferdinando II e Carlo Alberto rimase solo a sostenere lo sforzo bellico contro l'Austria. -
Armistizio
Dopo vittorie iniziali e conseguenti annessioni al Regno di Milano, Modena, Parma e Venezia, Carlo Alberto venne sconfitto a Custoza e, tradendo la causa risorgimentale, firmò un armistizio con gli austriaci a Salasco. Si chiudeva così la prima guerra di indipendenza ma non il desiderio di rivolta degli italiani. -
Repubblica romana
A Roma infatti, fuggito Pio IX a Gaeta, nasceva la effimera Repubblica romana, retta da un triunvirato costituito da Mazzini, Armellini e Saffi. Un analogo triumvirato (Guerrazzi, Montanelli e Mazzoni) diede vita ad un analogo esperimento in Toscana. Carlo Alberto, preoccupato dalla potenziale diffusione del morbo democratico e repubblicano, si decise per il rilancio dell'impresa ma fu sconfitto dagli austriaci di Chrzanowski a Novara. -
Ritorno all'ordine
Carlo Alberto abdicò a favore di Vittorio Emanuele II, ottenendo così condizioni miti nell'armizio firmato in marzo a Vignale. Il Regno di Sardegna tornava nei suoi confini mentre gli austriaci riprendevano progressivamente Brescia, la Toscana e Venezia. Truppe francesi, spagnole e borboniche si occuparono invece di Roma. La neonata Repubblica morì, nonostante la resistenza eroica di Garibaldi (che portò anche alla morte della giovane e rivoluzionaria moglie, la brasiliana ANITA).